Secondo la datazione tradizionale, Buddha Shakyamuni, anche conosciuto come Buddha Gautama, visse dal 566 al 485 a.C. nel centro dell`India settentrionale. Differenti fonti buddhiste contengono numerosi, variegati racconti sulla sua vita, con ulteriori dettagli che appaiono soltanto gradualmente nel corso del tempo. È difficile accertare l’accuratezza di molti di questi dettagli, considerando che la prima letteratura buddhista fu messa per iscritto soltanto tre secoli dopo la morte del Buddha. Ciononostante, solo perché certi dettagli emersero in forma scritta più tardi di altri non è una ragione sufficiente per pensare che non siano validi, poiché molti dettagli avrebbero potuto continuare ad essere trasmessi in forma orale.
Generalmente, le biografie tradizionali dei grandi maestri buddhisti, inclusa quella del Buddha stesso, furono generalmente compilate a fini didattici e non per mere ragioni storiografiche. Più specificamente, le biografie dei grandi maestri furono scritte per insegnare il sentiero spirituale per raggiungere la liberazione e l’illuminazione ai seguaci buddhisti, e d’ispirarli a seguire questo percorso fino in fondo. Perciò, per trarre beneficio dalla biografia di Buddha, dobbiamo comprenderla in questo contesto e analizzare le lezioni di vita che essa ci può insegnare.
Fonti
Le fonti più antiche che parlano della vita di Buddha includono, nell’ambito degli scritti Theravada, alcuni sutta in pali tratti dalla Collezione di Insegnamenti di Media Lunghezza (Pali: Majjhima Nikaya) e, nell’ambito delle varie scuole Hinayana, una serie di testi vinaya che riguardano le regole della disciplina monastica. Tuttavia, ognuno di questi testi ci rivela solo piccole parti della vita di Buddha.
I primi racconti più estesi appaiono alla fine del II secolo a.C. in opere poetiche del Buddhismo, per esempio nell’opera Grandi Faccende (scr. Mahavastu) della scuola Mahasanghika dell´Hinayana. Questo testo, che non era incluso nelle Tre collezioni simili a cesti (scr. Tripitaka, Tre Cesti), aggiunge per esempio il dettaglio che Buddha nacque come principe in una famiglia reale. Un’altra di queste opere poetiche apparse nella letteratura della scuola Sarvastivada dell’Hinayana. Si tratta del Sutra del gioco esteso (scr. Lalitavistara Sutra). Versioni Mahayana successive di questo testo si basano su questa prima versione e la elaborarono, spiegando per esempio che Shakyamuni aveva ottenuto l’illuminazione molto tempo prima e che si era unicamente manifestato come principe Siddhartha, per dimostrare come raggiungere l’illuminazione dando istruzioni agli altri.
Successivamente, alcune di queste biografie furono incluse nelle Tre collezioni simili a cesti. La più famosa è Le gesta del Buddha (scr. Buddhacarita) del poeta Ashvaghosha, scritta nel I secolo d.C. Altre versioni apparvero addirittura più tardi, nei tantra: per esempio, nella letteratura di Chakrasamvara. In quel tantra troviamo il racconto secondo il quale Buddha si emanò sotto forma di Shakyamuni per insegnare i Sutra sulla consapevolezza discriminante di vasta portata (scr. Prajnaparamita Sutra, Sutra della perfezione della saggezza) e contemporaneamente sotto forma di Vajradhara per insegnare i tantra.
Ogni resoconto può insegnarci qualcosa e ispirarci. Tuttavia, in quest’articolo, esamineremo soprattutto le versioni che parlano della vita del Buddha storico.
La nascita, la gioventù e la rinuncia
Secondo le narrazioni più antiche, Shakyamuni nacque in una ricca famiglia di guerrieri aristocratici nello stato di Shakya che aveva come capitale Kapilavastu, al confine tra l’India e il Nepal attuali. Non è menzionato che Shakyamuni nacque come principe della famiglia reale. Questa sua discendenza e il suo nome principesco Siddhartha appaiono solo in narrazioni seguenti. Il padre si chiamava Shuddhodana, ma il nome della madre, Mayadevi, apparve soltanto in versioni successive, così come la storia della sua concezione miracolosa durante un sogno in cui la madre vide un elefante bianco a sei zanne entrare in lei dal suo fianco e la predizione del saggio Asita, secondo il quale il bambino sarebbe diventato un grande re o un grande saggio. In seguito apparve anche la descrizione della nascita pura di Buddha dal fianco della madre nel boschetto di Lumbini vicino Kapilavastu, dove fece i suoi primi sette passi e disse “Sono arrivato”, e della morte della madre durante la nascita.
Da giovane, Buddha ebbe una vita piena di piaceri. Sposò una donna di nome Yashodhara, ed insieme ebbero un figlio, Rahula. All’età di 29 anni, Buddha rinunciò alla vita di famiglia e alle sue radici principesche e divenne un ricercatore spirituale mendicante e itinerante.
Dobbiamo considerare la rinuncia di Buddha nel contesto della società del suo tempo. Quando il Buddha se ne andò per diventare un ricercatore spirituale, il Buddha non abbandonò la moglie e il figlio in uno stato di difficoltà e povertà. Sapeva che la sua ricca famiglia estesa si sarebbe occupata di loro. Inoltre il Buddha era un membro della casta guerriera, e quindi avrebbe dovuto comunque lasciare un giorno la sua famiglia per andare in battaglia, e questo era un fatto accettato come parte del dovere di un uomo.
Si possono combattere battaglie infinite contro nemici esterni, ma la vera battaglia è quella contro i nostri nemici interiori, ed è questa la battaglia che Buddha andò a fare. Il fatto che Buddha lasciò la sua famiglia a questo fine ci indica che il dovere di un ricercatore o di una ricercatrice spirituale è di dedicare tutta la sua vita a questa ricerca. Se nel nostro mondo moderno dovessimo lasciare le nostre famiglie per diventare monaci, dobbiamo prima assicurarci che i membri della nostra famiglia abbiano tutto il necessario per vivere. Questo significa che non dobbiamo soltanto prenderci cura del nostro partner e dei nostri figli, ma anche dei nostri genitori anziani. Comunque, a prescindere dal fatto se lasciamo la nostra famiglia oppure no, come buddhisti abbiamo il dovere di diminuire la sofferenza superando la dipendenza dal piacere, come fece Buddha.
Il Buddha vuole superare la sofferenza comprendendo la natura della nascita, della vecchiaia, della morte, della rinascita, della tristezza e della confusione. In racconti successivi, il Buddha viene portato in giro fuori dal suo palazzo dall’autista del suo carro, Channa. In città il Buddha vide persone malate, vecchie, morte, nonché un asceta, e Channa offrì una spiegazione per ciascuna. Così Buddha identificò chiaramente le sofferenze che noi tutti dobbiamo sperimentare e provò a pensare ad una soluzione.
Quest’episodio in cui Buddha riceve aiuto da parte dell’autista del suo carro lungo il suo percorso spirituale è simile al racconto della Bhagavad Gita, in cui Arjuna riceve istruzioni dall’autista della sua carrozza, Krishna, su come compiere il suo dovere di guerriero e combattere una battaglia contro i suoi parenti. Sia nel caso della storia buddhista che nel caso di quella induista, vi è un significato più profondo: dobbiamo trascendere i limiti delle nostre vite confortevoli per cercare di scoprire la verità. Il carro può rappresentare un veicolo mentale che porta alla liberazione, mentre le parole del conduttore sarebbero la forza propulsiva che mette in moto il carro, ossia la ricerca della realtà.
Gli studi e l’illuminazione
Come ricercatore spirituale itinerante che praticava il celibato, il Buddha studiò con due maestri i metodi per raggiungere i vari livelli di stabilità mentale e della concentrazione senza forme. Riuscì a raggiungere il livello più elevato di questi stati di concentrazione perfetta nei quali non provava più la sofferenza grossolana e nemmeno la felicità mondana ordinaria, ma non era soddisfatto. Si rese conto come questi stati procurassero un sollievo unicamente temporaneo e non permanente da questi sentimenti contaminati; non eliminavano certamente le forme più profonde e universali di sofferenza che cercava di superare. In seguito, praticò una forma estrema di ascetismo con cinque compagni, ma anche questo metodo non risolveva i problemi più profondi connessi al ciclo incontrollabile di rinascite (samsara). La storia secondo la quale Buddha smise di digiunare dopo sei anni sulle sponde del fiume Nairanjana, quando accettò una ciotola di riso al latte dalla giovane Sujata, apparve solo in versioni successive.
Per noi, l’esempio di Buddha indica che non bisogna accontentarsi di raggiungere uno stato di calma totale o di “ubriacarsi” con la meditazione, e ancora meno con qualche mezzo artificiale come una droga. La fuga in una trance profonda o il fatto di torturarci o di punirci con pratiche estreme non è nemmeno una soluzione. Dobbiamo perseverare fino alla liberazione e all’illuminazione e non dovremmo essere soddisfatti con metodi spirituali che non realizzino questi scopi.
Dopo aver rifiutato l´ascetismo si ritirò a meditare da solo nella giungla, per superare la paura. La paura è dovuta all’aggrapparsi ad un “io” esistente in un modo impossibile, e a un atteggiamento auto-gratificante ancora più forte di quello che sta alla base della nostra ricerca compulsiva di piacere e divertimento. Così, ne La ruota delle armi taglienti, il maestro indiano del X secolo d.C. Dharmarakshita utilizzò l’immagine di pavoni che vivono nella giungla mangiando piante velenose per rappresentare i bodhisattva che impiegano e trasformano le emozioni velenose della brama, della rabbia e dell´ingenuità per superare i loro atteggiamenti auto-gratificanti e l’aggrapparsi a un “io” impossibile.
Dopo molta meditazione, Buddha raggiunse la completa illuminazione all’età di 35 anni. In resoconti successivi, troviamo i dettagli del suo raggiungimento dell’illuminazione sotto l’albero del bodhi nell’odierna Bodh Gaya, dopo essersi difeso con successo contro gli attacchi del dio geloso Mara, che cercò d’impedire l´illuminazione di Buddha emanando delle presenze spaventose e seducenti per disturbare la sua meditazione.
Nei resoconti più antichi, Buddha raggiunse la piena illuminazione ottenendo tre tipi di conoscenza: la conoscenza completa di tutte le sue vite passate, del karma e delle rinascite di tutti gli altri esseri e delle Quattro Nobili Verità. Resoconti seguenti spiegano che tramite l’illuminazione raggiunse l´onniscienza.
L’insegnamento e la fondazione di una comunità monastica
Dopo aver ottenuto la liberazione e l´illuminazione, Buddha non era certo se dare insegnamenti in modo che altri realizzassero la stessa cosa; pensava che nessuno l’avrebbe capito. Ma le divinità indiane Brahma, il creatore dell’universo, e Indra, il Re degli Dèi, lo implorarono di dare insegnamenti. Facendo questa richiesta, Brahma disse a Buddha che il mondo soffrirebbe senza fine se non avesse dato insegnamenti, e che ci sarebbero state certamente alcune persone che avrebbero compreso le sue parole.
Questo dettaglio potrebbe essere un elemento satirico che indica la superiorità degli insegnamenti di Buddha, i quali sorpassavano i metodi offerti dalle altre tradizioni spirituali indiane di quei tempi. Se persino gli dèi più elevati ammettono che il mondo ha bisogno degli insegnamenti di Buddha poiché loro stessi non conoscono i mezzi per porre fine alle sofferenze di tutti, che dire di quanto siano necessari gli insegnamenti per le persone comuni. Inoltre nel simbolismo buddhista Brahma rappresenta l’orgoglio arrogante; la sua falsa credenza di essere il creatore onnipotente rappresenta la personificazione della confusione nel pensare che questo “io” esistente in modo impossibile esista, e possa controllare tutti gli aspetti della vita. Una tale credenza confusa inevitabilmente produce frustrazioni e sofferenze. Solo gli insegnamenti di Buddha su come esistiamo veramente può offrire una via per causare un vero arresto di questa vera sofferenza e della sua vera causa.
Accentando la richiesta di Brahma e Indra il Buddha si recò a Sarnath, e nel Parco delle Gazzelle insegnò le Quattro Nobili Verità ai suoi cinque vecchi compagni. Nel simbolismo buddhista, le gazzelle rappresentano la gentilezza e così Buddha insegna un metodo dolce che evita gli estremi dell’edonismo e dell´ascetismo.
In tempi brevi, un gruppo di giovani della vicina città di Varanasi si unì al Buddha seguendo un celibato stretto. I loro genitori diventarono discepoli laici e iniziarono a sostenere il gruppo con elemosine. Non appena un membro era sufficientemente addestrato e qualificato, veniva mandato a dare insegnamenti ad altri. Così il gruppo dei mendicanti seguaci di Buddha crebbe rapidamente, e in breve tempo si stabilirono e si formarono delle comunità “monastiche” individuali in varie località.
Buddha organizzò queste comunità monastiche secondo criteri pratici. I monaci, se possiamo già usare questo termine in questo stadio molto iniziale, potevano accettare candidati che volevano aderire alla comunità, ma dovevano rispettare certe restrizioni per evitare conflitti con le autorità secolari. Per via di questo, Buddha non permise a criminali, a persone al servizio dei re (militari, per esempio), a schiavi non rilasciati dalla schiavitù, e a chi soffriva di malattie contagiose come la lebbra di diventare membri della comunità monastica. Anche chi era più giovane di vent’anni non poteva essere accettato. Buddha voleva evitare problemi e assicurare il rispetto della popolazione verso la comunità e gli insegnamenti del Dharma. Come discepoli di Buddha, questo ci indica che dobbiamo rispettare le usanze locali e comportarci in modo degno, in modo tale che la gente abbia una buona impressione del Buddhismo e di conseguenza lo stimi.
In breve tempo, Buddha tornò nel Magadha, il regno in cui si trovava Bodh Gaya. Fu invitato nella capitale, Rajagrha – l’odierna Rajgir – dal re Bimbisara, che divenne il suo sostenitore e discepolo. Fu qui che Shariputra e Maudgalyayana aderirono all’ordine crescente del Buddha e divennero due dei suoi più stretti discepoli.
A un anno dalla sua illuminazione, Buddha tornò in patria, a Kapilavastu, dove il figlio Rahula divenne un membro dell´ordine. Il fratellastro di Buddha, Nanda il bello, aveva già lasciato casa sua e faceva già parte dell’ordine. Il padre di Buddha, il re Shuddhodana, era molto triste che il lignaggio della famiglia fosse stato interrotto, e perciò richiese al Buddha che in futuro un figlio avrebbe dovuto chiedere il consenso dei genitori per diventare un membro dell´ordine monastico. Buddha acconsentì pienamente. Questo resoconto non ha lo scopo di farci credere che Buddha fosse stato crudele con il padre, ma ci dimostra piuttosto l’importanza di non creare risentimenti verso il Buddhismo, soprattutto nelle nostre famiglie.
Un dettaglio successivo dell´incontro tra Buddha e la sua famiglia è l’utilizzo dei suoi poteri sovrannaturali per ascendere al Cielo dei Trentatré Dei o, secondo altre fonti, al paradiso di Tushita per dare insegnamenti alla madre, che era rinata in quel luogo. Questo ci dimostra l’importanza di apprezzare e di ricambiare l´amore materno.
La crescita dell’ordine monastico
Le prime comunità dei monaci del Buddha erano piccole, e contenevano non più di venti uomini. Ogni gruppo era autonomo e seguiva un perimetro preciso entro il quale i monaci andavano a chiedere le elemosine. Le azioni e le decisioni di ogni comunità erano prese solo con il consenso di tutti i membri, per evitare disaccordi, e non c’era nessuna persona che deteneva l’autorità assoluta. Buddha disse ai monaci di considerare gli insegnamenti del Dharma come autorità. In caso di necessità persino la disciplina monastica poteva essere cambiata, ma qualunque cambiamento doveva essere basato sul consenso di tutta la comunità.
Il re Bimbisara suggerì a Buddha di adottare alcune usanze di altri gruppi mendicanti spirituali, come i giainisti, che tenevano un’assemblea quattro volte al mese. Secondo quest’usanza, i membri delle comunità spirituali si riunivano all´inizio di ognuna delle quattro fasi lunari per discutere gli insegnamenti. Accettando, Buddha dimostrò la sua apertura verso le usanze dei suoi tempi e finì per modellare molti aspetti delle sue comunità spirituali e della struttura dei suoi insegnamenti seguendo l’esempio dei giainisti. Mahavira, il fondatore del Giainismo, visse mezzo secolo prima di Buddha.
Shariputra chiese inoltre al Buddha di formulare un codice di regole per la disciplina monastica. Buddha, invece, decise che sarebbe stato meglio aspettare che sorgessero determinati problemi prima di istituire un voto che avrebbe impedito la ricorrenza di un evento simile. Buddha adottò questa linea di condotta per le azioni naturalmente distruttive che erano dannose per chiunque le commettesse, e anche per le azioni eticamente neutre proibite per certe persone in determinate situazioni e per certe ragioni. Così, le regole della disciplina (vinaya) erano pragmatiche e formulate ad hoc. L’intenzione principale di Buddha era di evitare problemi e comportamenti offensivi.
Basate sulle regole della disciplina, Buddha allora istituì la recitazione dei voti all’assemblea monastica che avveniva quattro volte al mese, in cui i monaci ammettevano apertamente le loro infrazioni dei voti. Le infrazioni più serie avevano come conseguenza l’espulsione dalla comunità, mentre le altre implicavano solo il disonore di doversi sottomettere a un periodo di prova. In seguito questi incontri furono organizzati solo ogni due mesi.
Poi Buddha istituì un ritiro di tre mesi durante la stagione delle piogge, durante il quale i monaci rimanevano in un luogo ed evitavano di viaggiare. Lo scopo era di evitare che i monaci danneggiassero le colture quando dovevano attraversare i campi perché le strade erano inondate. Questo condusse alla nascita dei monasteri fissi, un’evoluzione pratica. Anche questo sviluppo avvenne con l´intenzione di non danneggiare la comunità laica e di ottenere il loro rispetto.
A partire dalla seconda stagione delle piogge, Buddha trascorse venticinque estati nel parco di Jetavana nei pressi di Shravasti, la capitale del regno di Koshala. Qui, il mercante Anathapindada costruì un monastero per Buddha e i suoi monaci, e il re Prasenajit sponsorizzò ulteriormente la comunità. In questo monastero di Jetavana avvennero tanti dei grandi eventi della vita di Buddha. Il più famoso forse fu la sua vittoria in una competizione di poteri miracolosi che lo oppose ai leader di sei grandi scuole non-buddhiste di quei tempi.
Sebbene oggigiorno nessuno di noi potrebbe avere dei poteri miracolosi, Buddha usò questi poteri anziché la logica per prevalere su questi avversari e ciò ci dimostra che quando la mente degli altri non è aperta alla ragione, il modo migliore per convincerli della validità della nostra comprensione è di provare il nostro grado di realizzazione con le nostre azioni e con il nostro comportamento. Abbiamo anche questo modo di dire in inglese: “Le azioni parlano più forte delle parole”.
La fondazione dell’ordine monastico femminile
In seguito, Buddha istituì una comunità di monache a Vaishali, acconsentendo così alla richiesta di sua zia Mahaprajapati. Inizialmente era riluttante a fondare un tale ordine, ma decise che sarebbe stato possibile se le monache avessero osservato più voti dei monaci. Buddha non era del parere che le donne fossero più indisciplinate degli uomini e quindi avessero bisogno di un numero maggiore di voti. Piuttosto temeva che, fondando un ordine femminile, si sarebbe attirato una brutta reputazione e i suoi insegnamenti sarebbero spariti in modo prematuro. Buddha voleva anzitutto evitare di perdere il rispetto della comunità e per questo l’ordine delle monache doveva rimanere al riparo da ogni sospetto di comportamenti immorali.
In generale, però, Buddha era riluttante a formulare delle regole e accettava di sopprimere regole minori quando risultavano inutili. Il suo modo di agire illustra la dinamica delle due verità: la verità più profonda e, nondimeno, il rispetto della verità convenzionale in accordo alle usanze locali. Nella prospettiva della verità più profonda, la fondazione di un ordine femminile non comporta nessun problema. Tuttavia, per evitare che la gente di allora disprezzasse il Buddhismo, era necessaria l´introduzione di una serie di regole aggiuntive per le monache. Per quanto riguarda la verità più profonda, non importa quello che dice la società. Ma secondo la verità convenzionale, è importante che la comunità buddhista acquisti il rispetto e la fiducia della società. Oggigiorno, nelle società moderne, se ci fossero delle usanze buddhiste che gettano pregiudizi sulle monache, sulle donne in generale, o su qualsiasi minoranza, questo creerebbe una mancanza di rispetto verso il Buddhismo. Corrisponde allo spirito del Buddha di correggerle per adattarsi alle norme del tempo.
Dopotutto, la tolleranza e la compassione sono due caratteristiche fondamentali degli insegnamenti di Buddha. Per citare solo due esempi, Buddha incoraggiava i suoi nuovi discepoli che provenivano da altre comunità religiose di continuare a sostenere quelle comunità. E all’interno dell´ordine buddhista, diede istruzioni ai membri di occuparsi l’uno dell’altro. Se un monaco si ammalava, per esempio, era compito degli altri monaci di occuparsi di lui, poiché facevano tutti parte della famiglia buddhista. Questo precetto è importante anche per tutti i buddhisti laici.
Il metodo didattico di Buddha
Buddha dava insegnamenti sia con l’esempio della sua vita, sia con le istruzioni verbali. E per le istruzioni verbali, usava due metodi, a seconda se parlava ad un gruppo o a un individuo. Ai gruppi, Buddha spiegava i suoi insegnamenti con discorsi, ripetendo spesso ogni punto con parole diverse in modo che i suoi ascoltatori potessero comprenderli e memorizzarli meglio. Quando invece dava istruzioni personali, spesso dopo un pranzo a casa di un laico che aveva invitato Buddha con i suoi monaci, usava un altro approccio. Non si opponeva mai all´opinione della persona. Piuttosto, adottava la posizione della persona e poneva domande che aiutavano la persona a chiarire il proprio modo di pensare. In questo modo, Buddha aiutò la persona a migliorare la propria posizione e a ottenere gradualmente una comprensione della realtà più profonda. Un esempio è il modo in cui Buddha aiutò un orgoglioso membro della casta dei sacerdoti di Brahma a capire che la superiorità non deriva dalla casta in cui si nasce, ma dallo sviluppo delle buone qualità di una persona.
Un altro esempio è quello delle istruzioni che Buddha diede a una madre disperata perché aveva perso il bambino. Portò il cadavere di fronte al Buddha, implorandolo di riportarlo in vita. Buddha le disse di portargli un seme di mostarda da una casa in cui non era mai morto nessuno e che a quel punto avrebbe cercato di fare qualcosa. La donna s’incamminò, di casa in casa, ma non trovò nessuna famiglia dove non era mai morto nessun membro. Lentamente, capì che tutti noi dobbiamo morire. In questo modo riuscì a cremare il corpo del figlio con una maggiore pace mentale.
Il metodo con il quale Buddha insegnava ci dimostra che è meglio evitare provocazioni quando si cerca di aiutare le persone in incontri individuali. L´approccio più efficace consiste nell’aiutarli a pensare da soli. Se invece ci sono dei gruppi di persone che desiderano ricevere gli insegnamenti, è meglio spiegare le cose in modo chiaro e diretto.
I complotti contro Buddha e lo scisma
Sette anni prima della morte di Buddha, il cugino geloso Devadatta cercò di prendere il posto di Buddha e diventare il capo dell’ordine. In modo simile, il principe Ajatashatru cercò di rimpiazzare il padre, Bimbisara, come re del Magadha e così i due cospiratori unirono le loro forze. Ajatashatru cercò di assassinare Bimbisara e in seguito a questo, il re abdicò a favore del figlio. Vedendo il successo di Ajatashatru, Devadatta gli chiese di assassinare Buddha, ma tutti i loro tentativi di ucciderlo furono vani.
In preda alla frustrazione, allora Devadatta cercò di allontanare i monaci dal Buddha, pretendendo di essere ancora più “santo” del cugino. Così, propose una serie di regole più severe. Secondo Il sentiero della purificazione (Pali: Visuddhimagga) del maestro theravada Buddhaghosa, vissuto nel IV secolo d.C., la nuova proposta che Devadatta fece ai monaci includeva le regole seguenti:
- indossare abiti fatti da stracci,
- indossare solo tre indumenti,
- chiedere soltanto l’elemosina e non accettare mai di essere invitati per mangiare,
- chiedere l´elemosina in tutte le case che si incontravano, senza saltarne una,
- mangiare tutto quello che si era raccolto facendo l’elemosina in un´unica volta,
- mangiare unicamente nella propria ciotola delle elemosine,
- rifiutare tutti gli altri cibi,
- vivere unicamente nei boschi,
- vivere sotto gli alberi,
- vivere all’aria aperta, e non nelle case,
- trascorrere il proprio tempo soprattutto in luoghi con cadaveri in putrefazione,
- essere soddisfatti in qualsiasi posto in cui ci si trova ed essere sempre in viaggio da un luogo a un altro,
- dormire nella posizione seduta, non coricarsi mai per dormire.
Buddha disse che se i suoi monaci lo desideravano, potevano benissimo adottare queste regole aggiuntive; ma che sarebbe stato impossibile obbligare tutti a farlo. Tuttavia, un certo numero di monaci decisero di seguire Devadatta. Lasciarono la comunità di Buddha e formarono il loro ordine.
Nella scuola Theravada, le regole aggiuntive della disciplina di Devadatta sono chiamate “i 13 rami della pratica osservata”. La tradizione dei monaci della foresta, che esiste tuttora nella Tailandia attuale per esempio, sembra derivare da questa pratica. Il più famoso praticante di questa disciplina più severa era Mahakashyapa, un discepolo di Buddha. Molte di queste regole vengono anche osservate dai santi itineranti, i sadhu, nella tradizione indù. La loro pratica sembra essere una continuazione della tradizione dei ricercatori spirituali, che ai tempi di Buddha vivevano come mendicanti itineranti.
Le scuole Mahayana hanno una lista simile di 12 caratteristiche della pratica osservata. Questa lista omette “chiedere l’elemosina in tutte le case che si incontravano, senza saltarne una”, e aggiunge invece “indossare vesti che sono state buttate nella pattumiera”, e conta come una sola regola le istruzioni di “chiedere l’elemosina” e di “mangiare unicamente nella ciotola delle elemosine”. In seguito, la tradizione indiana dei praticanti tantrici altamente realizzati, i mahasiddha, che si trova sia nel Buddhismo Mahayana che nell´Induismo, seguì molte di queste regole.
Il problema, quindi, non era il fatto di separarsi dalla tradizione buddhista preesistente per formare un altro ordine. In parole moderne, questo potrebbe corrispondere al fatto di fondare un centro di Dharma separato, e questo, di per sé, non era visto come creare uno “scisma nella comunità monastica”, uno dei cinque crimini efferati. Devadatta invece creò un tale scisma, perché il gruppo che si staccò e lo seguì nutriva dei sentimenti estremamente negativi verso la comunità monastica del Buddha e la criticava duramente. Secondo alcune versioni, l’odio generato da questo scisma durò per alcuni secoli.
L´episodio di questo scisma dimostra che Buddha era molto tollerante e per nulla un fondamentalista. Andava bene se i suoi seguaci desideravano seguire un codice morale più severo di quello da lui proposto; e se non lo desideravano, andava pure bene. Nessuno era obbligato a praticare quello che Buddha insegnava. Andava bene anche se un monaco o una monaca desiderava lasciare l’ordine monastico. Un comportamento estremamente distruttivo, invece, consiste nel dividere la comunità buddhista, particolarmente quella monastica, creando due o più gruppi tra i quali esiste odio l’uno verso l’altro, con un gruppo che cerca di gettare discredito sull’altro o causare dei danni. Anche il fatto di aderire a uno di questi gruppi ostili dopo lo scisma e di partecipare al discredito dell´altro gruppo con parole piene di odio è veramente dannoso. Tuttavia, se uno di questi gruppi s’impegna in azioni distruttive o pratica una disciplina dannosa, è un atto di compassione avvertire le persone che sarebbe pericoloso aderire a questo gruppo. Ma la motivazione non deve mai essere mista alla rabbia, all’odio o al desiderio di vendicarsi.
La morte di Buddha
Poiché aveva ottenuto l´illuminazione, Buddha non era più soggetto all’esperienza di una morte ordinaria, incontrollata. Malgrado ciò, all’età di 81 anni, Buddha decise che sarebbe stato di beneficio dimostrare l´impermanenza ai suoi seguaci e di lasciare il suo corpo. Tuttavia, prima diede l´opportunità al suo attendente Ananda di fare la richiesta di vivere ed insegnare più a lungo; ma Ananda non comprese l’indicazione che Buddha gli stava dando. Questo ci dimostra che un Buddha insegna solo quando gli è richiesto. Se nessuno lo richiede o è interessato agli insegnamenti, parte e se ne va altrove, dove può essere di maggior beneficio. La presenza di un maestro e degli insegnamenti dipende dagli studenti.
Così, a Kushinagara, nella casa del benefattore Chunda, Buddha si ammalò mortalmente dopo aver mangiato del cibo offerto a lui e a un gruppo di monaci. Prima di morire, Buddha disse ai suoi monaci che in caso di dubbi o di domande non risolte, avrebbero trovato la risposta nei suoi insegnamenti e nella loro disciplina etica: d’ora in poi, sarebbero stati questi il loro maestro. Così Buddha dette l´indicazione che ogni persona deve capire le cose per sé stesso in base agli insegnamenti: non ci sarebbe stata un’autorità assoluta che avrebbe dato tutte le risposte. Poi, Buddha morì.
Chunda era completamente distrutto e pensava di aver avvelenato il Buddha. Ma Ananda lo consolò dicendogli che invece, offrendo l’ultimo pasto a Buddha, aveva accumulato molta forza positiva o “merito”.
Buddha fu cremato e le sue ceneri furono conservate in alcuni stupa (monumenti che contengono reliquie), soprattutto nei luoghi che sarebbero diventati le quattro mete principali di pellegrinaggio del Buddhismo:
- Lumbini, dove Buddha nacque,
- Bodh Gaya, dove raggiunse l´illuminazione,
- Sarnath, dove diede il suo primo insegnamento del Dharma,
- Kushinagara, dove morì.
In sintesi
Tradizioni buddhiste differenti trasmettono varie narrazioni della vita del Buddha. Queste differenze indicano come ciascuna tradizione concepisca un Buddha e cosa possiamo imparare dal suo esempio.
- Le versioni hinayana parlano unicamente del Buddha storico. Mostrandoci come il Buddha abbia lavorato intensamente su sé stesso per raggiungere l'illuminazione, noi comprendiamo che anche come persone ordinarie possiamo fare lo stesso, e impariamo a sforzarci noi stessi.
- Nelle versioni generali mahayana, il Buddha aveva ottenuto l'illuminazione già molti eoni fa. Manifestando una vita con le 12 attività illuminanti, ci insegna che l'illuminazione implica lavorare per sempre per il beneficio di tutti.
- Nelle narrazioni dell'anuttarayoga tantra, il Buddha si manifestò simultaneamente come Shakyamuni, insegnando I sutra sulla consapevolezza discriminante di vasta portata (I sutra della Prajnaparamita), e come Vajradhara, insegnando i tantra. Questo indica che la pratica del tantra è basata totalmente sugli insegnamenti madhyamaka della vacuità.
Possiamo quindi imparare molte cose utili da ognuna delle versioni della vita del Buddha, e ottenere ispirazione a molti livelli diversi.